giovedì 31 gennaio 2013

Terapie con funghi allucinogeni

"TURN ON, tune in, drop out", "accenditi, sintonizzati, sganciati". Con queste parole lo psicologo Timothy Francis Leary negli anni Sessanta invitava gli studenti di Harvard a svegliare la mente, "distaccandosi da ciò che involontariamente restringe la libertà d'azione". Frainteso dall'opinione pubblica, ma apprezzato dai neuroscienziati, quello che fu considerato il "profeta" dell'LSD sarebbe stato fiero dei colleghi dell'Imperial College di Londra, che in due studi pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences e sul British Journal of Psychiatry hanno dimostrato gli effetti positivi della psilocibina: il principio attivo dei funghi allucinogeni sarebbe capace di diminuire l'attività cerebrale e di aiutare le persone a mantenere i ricordi più vividi. Secondo i ricercatori, inoltre, potrebbe ora essere usato a scopo terapeutico, passando dalle porte della percezione a quelle dei laboratori farmacologici, senza passare dal proibizionismo. In particolare, gli studiosi avrebbero scoperto che le immagini geometriche e la vivida immaginazione che si sperimentano sotto l'influsso dei funghi psicoattivi non sono, come ritenuto finora, il risultato di un aumento dell'attività cerebrale, bensì di una sua riduzione; fenomeno che potrebbe spiegare la liberazione della mente dai vincoli abituali. "Un risultato del tutto inaspettato", ha detto il coordinatore dello studio, David Nutt, dell'Imperial College di Londra, precisando che "quando si ottiene esattamente l'opposto di quello che si prevedeva, sai che è un risultato giusto, perché non c'è parzialità". Essendo la psilocibina illegale, il team ha dovuto faticare un bel po' per portare a termine lo studio, col timore costante che i volontari sperimentassero il famoso "bad trip". Soggetti "volontari", già avvezzi all'uso di certe sostanze, sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (che misura la risposta emodinamica correlata all'attività neuronale del cervello) prima e dopo la somministrazione endovenosa di psilocibina. Il flusso di sangue e l'attività cerebrale dei primi 30 hanno rivelato una diminuzione dell'attività nella corteccia prefrontale mediale (un'area coinvolta nelle emozioni, nell'apprendimento, nei processi della memoria e nelle funzioni esecutive) e in quella cingolata posteriore, la cui funzione è però meno chiara. Il team ha poi utilizzato i dati per valutare come la connettività funzionale tra queste due regioni cerebrali vari nel corso del tempo, e ha scoperto che la loro disattivazione è reciprocamente legata. Le due regioni sono infatti connesse da una rete chiamata Default-mode network (DMN) che integra funzioni cerebrali come sensazioni, ricordi e ambizioni. "E' un meccanismo che stabilisce chi sei e come vedi il mondo", ha detto Nutt. Una riduzione dell'attività del DMN potrebbe quindi, secondo gli autori di questa ricerca, consentire una modalità di conoscenza priva di vincoli, tipo quella sperimentata nel 1960 da Leary durante una vacanza in Messico, grazie ai "funghetti magici". Un secondo studio, condotto su altre 10 persone, avrebbe anche dimostrato che i ricordi, sotto l'effetto della psilocibina, migliorano e che la sostanza influisce positivamente su ansia e depressione. "Questi hub vincolano la nostra esperienza del mondo e la tengono in ordine. Ora sappiamo che la disattivazione di queste regioni porta a uno stato in cui il mondo viene vissuto con stupore, come qualcosa di strano", ha aggiunto Nutt. Secondo Rosanna Cerbo, neurologo psichiatra della Sapienza di Roma, non ci sono però dati sufficienti per parlare di una possibile efficacia terapeutica. "Gli studi che sono stati fatti finora dimostrano effettivamente dei vantaggi per il cervello - spiega - ma solo perché queste sostanze tolgono l'ansia. L'unica efficacia possibile, almeno a livello di quelle sperimentate finora, sta nella loro funzione ansiolitica". "I risultati dell'esperimento - spiega Enrico Cherubini, coordinatore del settore di Neurobiologia della Sissa di Trieste, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, e presidente della Società Italiana di Neuroscienze - sono stati riscontrati in aree cerebrali associative di fondamentale importanza per l'integrazione delle funzioni cognitive. Quindi è davvero plausibile che tali sostanze, riducendo l'attività cerebrale e inibendo questi collegamenti, abbiano effetti benefici sulla psiche, soprattutto in chi soffre di depressione. L'effetto distensivo delle droghe psicoattive è conosciuto da tempo; approfondirne le possibilità terapeutiche mi sembra una cosa molto interessante". Questo non significa che da domani le sostanze allucinogene come la psilocibina verranno utilizzate disinvoltamente dalle case farmaceutiche e somministrate con altrettanta leggerezza dagli psichiatri, anche perché in agguato c'è sempre il rischio di dipendenza. "La psilocibina - ha concluso Nutt - potrebbe essere somministrata solo un paio di volte sotto la supervisione di un terapista. Con la speranza che, alla fine del processo, non si sia più dipendente dai farmaci. Sarebbe come aprire una porta e mostrare che c'è un altro modo di essere".

www.micomedicina.com

domenica 27 gennaio 2013

Un nuovo farmaco sperimentale derivato da una pianta velenosa potrebbe uccidere le cellule cancerogene

Un nuovo farmaco sperimentale derivato da una pianta velenosa potrebbe uccidere le cellule cancerogene. A sostenerlo è uno studio realizzato dalla Johns Hopkins Cancer Center negli Usa, condotto dal dottor Johm Isaacs e pubblicato recentemente sullo Science Translational Medicine. La pianta in questione è la Thapsia Garganica, che contiene una sostanza in grado di contrastare i tumori, soprattutto quelli alla prostata. La pianta produce la tapsigargina, sostanza tossica conosciuta fin dall'antica Grecia. Da questa sostanza, i ricercatori sono riusciti a ricavarne un farmaco, denominato G202, per il trattamento medico dei tumori. Il farmaco è stato prodotto modificando chimicamente la tapsigargina in modo da detossificarla: "Il nostro studio ha permesso di riprogrammare le molecole di questo veleno in modo da renderele inoffensive per i tessuti sani. Una volta giunti alle cellule del cancro, la tossicità viene riattivata e le cellule dannose vengono uccise", ha dichiarato Samuel Denmeade, ricercatore a capo dello studio. Attualmente il farmaco è in fase sperimentale. Testato su 29 pazienticon carcinoma prostatico in fase avanzata, ha dato buoni risultati dopo un trattamento di 30 giorni, riducendo le dimensioni delle cellule cancerogene del 50%. Come agisce il farmaco? La sostanza raggiunge il tumore senza danneggiare i tessuti sani. Viene rilasciata poi una proteina che inibisce la protezione che fa da scudo al tumore, in questo modo il farmaco G202 può andare all'attacco.

giovedì 24 gennaio 2013

Dormendo s'impara

Grazie al sonno le esperienze della veglia trovano una logica, gli esperimenti scientifici dimostrano la relazione tra la qualità del sonno e quella della vita diurna. Il cervello ripercorre le esperienze vissute durante la veglia, le smonta, le cataloga e le immagazzina nelle varie aree. Qui restano sotto forma di ricordi per un mese, un anno o per una vita intera, a seconda della loro importanza e del loro impatto emotivo. Senza il riordino che il cervello compie nelle ore notturne, le esperienze del giorno verrebbero dimenticate. Spiega Robert Stickgold, della Harvard Medical School di Boston: «Quel che il cervello conosce al mattino è molto più della somma dei ricordi della sera precedente. Durante la notte infatti si è dato da fare per integrare le nuove esperienze con quelle già presenti, facendoci diventare più intelligenti. La memoria non riguarda il passato. La memoria serve al futuro. Quel che abbiamo vissuto deve fungere da insegnamento per evenienze simili. Ma nulla si ripete due volte in maniera esattamente uguale. Il cervello, per poter riutilizzare un'esperienza del passato, deve saperla trasformare in una regola generale». Oziare, preparare un esame o allenarsi in uno sport sono attività che richiedono tipi di sonno diverso, nel primo caso, i ricordi da consolidare sono ridotti e di conseguenza anche la necessità delle ore di riposo. Nel secondo caso, occorrerà invece una buona dose di sonno della fase Rem, nel terzo caso serve la "fase due" del sonno, la più efficiente per fissare uno schema motorio. «Se insegniamo ai volontari una sequenza di movimenti con le dita della mano sinistra - ha osservato Stickgold - la notte noteremo un'attività più intensa del normale nell'emisfero destro, quello che sovrintende alla mano impegnata negli esercizi». La carenza di sonno aumenta l'ormone grelina legato all'appetito e diminuisce la leptina, legata alla sazietà. Lo scarso riposo attiva anche i circuiti dello stress, cui l'organismo risponde con un desiderio di sensazioni appaganti come il consumo di cibi ricchi di grassi e zuccheri.

from: www.micomedicina.com

mercoledì 23 gennaio 2013

Il movimento che ripara le arterie

Correre o camminare con regolarità mette in circolo cellule staminali in grado di riparare le piccole lesioni delle arterie. Le leggi antifumo continuano a dare risultati concreti positivi per il cuore. Ne parla brevemente la Repubblica. «Fare del movimento - spiega Repubblica - si sta rivelando il vero elisir di lunga vita. Anche perché si è scoperto che mette in circolo cellule staminali in grado di riparare le piccole lesioni delle arterie che aprono la porta a infarto e ictus. Si calcola che tre ore di cammino veloce a settimana eviterebbero negli Usa 284.886 morti l´anno per malattie cardiovascolari». «In Islanda - informa Repubblica - nei luoghi pubblici si passa molto tempo, dato il clima. Eppure questo paese ha introdotto il divieto di fumo per locali e uffici solo nel giugno 2007. In pochi mesi, i ricoveri di non fumatori colpiti da sindrome coronarica acuta (anticamera dell'infarto) si è ridotto del 21%. I casi studiati sono stati 378».
From: www.micomedicina.com

lunedì 21 gennaio 2013

La leucemia che colpisce in primavera e autunno

La leucemia promielocitica, una rara forma di tumore che conta al massimo 200 casi l'anno, colpisce soprattutto in primavera e in autunno. Questa tendenza ricorrente non ha ancora una spiegazione: «Noi ematologi abbiamo la percezione di un'incidenza a grappolo - spiega Francesco Lo Coco, dell'Unità operativa complessa laboratorio di oncoematologia del Policlinico Tor Vergata di Roma, a margine del convegno internazionale Leukemia 2012 - cioè di un elevato numero di casi concentrato in un ristretto periodo di tempo. Questo aspetto va analizzato con l'ausilio di epidemiologi. E' noto che nei Paesi scandinavi il numero di diagnosi è molto inferiore rispetto a quello registrato nei Paesi mediterranei e più vicini all'equatore. Si contano più casi nel Sud dell'Europa dunque, o anche nelle aree equatoriali e subequatoriali del Sudamerica. E' necessario uno sforzo congiunto per dare un senso a questi dati, un team multidisciplinare fatto di ematologi, epidemiologi e biologi molecolari può essere strategico». La ricerca epidemiologica sulle malattie leucemiche scarseggia, le cause eziologiche non si conoscono, tranne qualche piccola associazione, per questo motivo istituire dei team multidisciplinari potrebbe portare a progressi significativi. 
www.micomedicina.com

lunedì 14 gennaio 2013

Aspartame e i dubbi di cancerogenicità

L'aspartame è il dolcificante artificiale più diffuso al mondo, ha le stesse calorie dello zucchero, ma è duecento volte più dolce. Scoperto nel 1965, l'aspartame è stato approvato in Italia solo nel 1982 per i sospetti di tossicità e di cancerogenicità, ora entro settembre la società europea per la sicurezza alimentare, EFSA, dovrà riformulare un verdetto sui rischi dell'aspartame. L'ha ordinato la Commissione Europea dopo la pressione fatta da alcuni parlamentari e dalla stampa, in particolare dal quotidiano Le Monde. Nel 2005, uno studio indipendente condotto dall'istituto Ramazzini di Bologna dimostra la cancerogenicità dell'aspartame, che, dopo essere assunto nell'intestino e poi nel fegato, si trasforma in metanolo. Controversa anche la dose minima di fenilalamina o aspartame che possiamo tollerare ogni giorno: il limite è stato fissato dall'industria produttrice a 40mg per chilogrammo, ma non ci sono studi indipendenti sulla dose minima giornaliera. Inoltre i prodotti che contengono aspartame non precisano la quantità per confezione e quindi è difficile per i consumatori calcolare la dose ingerita ogni giorno. L'aspartame è presente in quasi 5mila prodotti: gomme da masticare, caramelle, bevande, yogurt, prodotti alimentari light o diet, dentifrici, farmaci pediatrici. L'aspartame è molto usato anche per la convinzione che non faccia ingrassare. Ci sono però evidenze del ruolo delle sostanze light e degli edulcoranti artificiali nella sindrome metabolica. Gli allevatori di maiali usano l'aspartame nella dieta dei suini destinati all'ingrasso.
www.micomedicina.com

domenica 13 gennaio 2013

Thè verde contro il cancro alla pelle

Un team di ricercatori scozzesi ha ideato un nuovo metodo di somministrazione di una sostanza estratta dal tè verde e che si è rivelato in grado di curare alcuni casi di tumore alla pelle. Alcuni casi di tumore alla pelle sono stati curati efficacemente da alcuni ricercatori scozzesi dell’ Università di Strathclyde e Glasgow mediante l’utilizzo di un composto chimico che si trova nel tè verde, un importante passo in avanti nell’individuazione di possibili cure per i soggetti malati di cancro.Il team di ricercatori, in particolare, ha spiegato la connessione esistente tra cancro alla pelle e tè verde in un articolo pubblicato sulla rivista Nanomedicine. In realtà, l’efficacia del tè verde contro il tumore alla pelle era già stata provata da tempo, tuttavia l’applicazione in concreto di questa soluzione fino a prima di questi esperimenti non aveva portato a grandi risultati, in quanto portare i composti del tè al tumore tramite una tradizionale somministrazione intravenosa non si era rivelato un metodo molto efficace, dal momento che in questo modo al tumore arriva una quantità di estratto insufficiente.La novità, dunque, sta nel metodo di somministrazione della sostanza. I ricercatori scozzesi, infatti, sono riusciti a sviluppare un metodo specifico per applicare l’estratto, conosciuto come gallato di epigallocatechina (EGCG), direttamente nei tumori ideando un sistema di somministrazione mirato che funziona fondendo l’estratto con le proteine che portano molecole di ferro, che a loro volta sono assorbite dal tumore. L’efficacia di tale metodo è stata confermata attraverso uno studio in laboratorio su due diversi tipi di cancro della pelle: circa due terzi dei tumori cui era stato somministrato si sono ridotti o sono scomparsi nel giro di un mese, senza che siano stati riscontrati effetti collaterali a carico dei tessuti sani.Come ha spiegato la dott.ssa Christine Dufès dell’Università di Strathclyde, che ha coordinato il team di ricercatori, i risultati di questa ricerca potrebbero portare a nuove cure per quella che è ancora una delle principali malattie mortali in molti paesi. Basti pensare ogni anno si verificano in tutto il mondo tra i 2 e i 3 milioni di casi di cancro alla pelle non melanoma e circa 132.000 casi di cancro alla pelle melanoma.
www.micomedicina.com

giovedì 10 gennaio 2013

“ Sclerosi Multipla”

MICOEDITORIALE GENNAIO 2013 “ Sclerosi Multipla”

Download articoli : QUI

 Cari amici della Micomedicina eccoci di nuovo qui con voi, con un Nuovo Anno che si apre con i Migliori Auspici e con tante idee. Molti di voi si chiederanno se siamo impazziti, visto l’andazzo generale, ma è proprio in questi momenti che serve un po’ di Sano Ottimismo, guardare il bicchiere mezzo pieno…perché possono toglierci tutto ma non la libertà di condividere conoscenze e una certa visione del mondo…Tanto per cominciare cambiamo il senso del micoeditoriale che sarà monotematico su una patologia per la quale vi sarà un fungo di base insieme ad altri articoli su rimedi naturali che faranno da “spalla” all’articolo originale sull’approccio della Micomedicina pubblicato sul paginone centrale e che ci accompagnerà per tutto il mese. Con questo si cercherà di stimolare la discussione ed il dibattito sulla Micomedicina soprattutto “dagli addetti ai lavori” oltre ad organizzare meglio il materiale scientifico. Per questo motivo rinnovo comunque a tutti l’invito alla critica costruttiva e anche distruttiva: tutto fuorché il silenzio !! Dobbiamo crescere insieme ed è una questione di sopravvivenza culturale; in molte circostanze critiche della storia gli italiani hanno dimostrato si sapersi re-inventare con genialità e sacrificio; noi siamo persone normali con il pallino dello studio e con la volontà di voler fare qualcosa per gli altri; identificandolo in un nuovo un modo di vedere la salute e la genesi delle malattie, che prospettato sotto forma di una continua ricerca nel macro e micro dell’equilibrio simbiotico mediato dai funghi, può fornire una chiave di lettura nuova ed originale di integrazione delle medicine, chiamandola così Micomedicina. E cominciamo con una patologia di grande impatto socio-sanitario e di ricerca, la Sclerosi Multipla. Il fungo di riferimento è l’Hericium erinaceus, (sezione D) detto anche criniera di leone, dagli autori anglosassoni (considerandone la forma ed il colore), è un fungo lignicolo che cresce anche dalle nostre parti, ed è utilizzato per problemi GI e tumori, e nel caso della SM, grazie agli studi degli autori Giapponesi, si è dimostrato stimolare la produzione di NGF (Neuronal Growth Factor) (quello del Nobel della compianta Levi Montalcini recentemente scomparsa) che è uno dei fattori principali implicati nella neurodegenerazione. Si è dimostrato, come indicato nell’articolo del francese Donatini dal titolo emblematico “Hericium erinaceus : sulle proprietà essenzialmente dipendenti dal NGF”, che il corpo fruttifero dell’ Hericium tramite il NGF, possa stimolare i processi di mielinizzazione oltre ad avere effetti protettivi, su assoni e mielina, sopprimendo i processi infiammatori immunomediati e cambiando la risposta immunitaria verso un’azione soppressiva e anti-infiammatoria (TH2). Un altro grande supporto terapeutico a cui sono molto affezionato, è la Vitamina D (sez. A) sono ben tre gli articoli selezionati per voi sul rapporto tra SM e carenza di Vitamina D. Il primo recente statunitense finanziato ai massimi livelli (NIH, NINDS, GlaxoSmithKline e Biogen) ha incontrovertibilmente dimostrato una correlazione tra bassi livelli ematici di Vitamina D ed un aumento del numero di lesioni cerebrali ed un aggravamento della SM, in più uno studio su 500 pazienti con SM ha dimostrato che per ogni aumento di 10 nanogrammi per millilitro di vitamina D nel sangue diminuiva il rischio di nuove lesioni del 15%. Dando quindi una prospettiva di un uso terapeutico (e noi sappiamo quale Vitamina D dare !!). L’altro è uno studio piuttosto datato (2000) ma molto importante pubblicato sul Lancet Neurology e riguarda una review internazionale di dati epidemiologici che ha individuato i tre motivi per cui la carenza di Vitamina D costituisce un fattore di rischio per la SM: la frequenza di SM aumenta alle latitudini più alte, la prevalenza alle altitudini più alte è inferiore all’attesa nelle popolazioni che consumano più pesce grasso, il rischio di SM diminuisce nelle popolazioni che si trasferiscono e vivono alle latitudini più basse. Altri studi evidenziano una stretta correlazione tra bassi livelli di 25(OH)D e rischio di sviluppare la SM e di come il rischio di sviluppare la SM diminuisca significativamente all’aumentare dei livelli di 25(OH)D. L’ultimo è un’intervista di una giovane ricercatrice italiana dell’ISS MC Gauzzi presente all’ECTRIMS 2011 (european committee for treatment and research in MS) che illustra gli studi sul rapporto Vitamina D e SM in relazione alle cellule dendritiche che istruiscono i linfociti verso una tolleranza o all’autoaggressione immunitaria; ipotizzando l’incapacità delle cellule dendritiche di sintetizzare o rispondere alla Vitamina D contribuendo alla patologia autoimmunitaria che sostiene la neurodegenerazione. In questo caso la Vitamina D e l’ Interferone cooperano nel limitare la patologia. Lo studio sta comparando il metabolismo e l’attività della vitamina D e della sua relazione con INF, in cellule dendritiche di soggetti sani e con la SM. Altro grande capitolo (sez B) sono gli Oli e gli Acidi grassi nella SM, in primis (vedi articolo OLI e Acidi Grassi nella SM) l’Olio di Canapa che ha dimostrato, grazie al rapporto ottimale di 3:1 di acidi grassi essenziali polinsaturi della famiglia omega 6/3, capacità antinfiammatorie e immunomodulanti. Inoltre l’olio di canapa contiene tocoferoli (Vitamina E) antiossidanti naturali, fitosteroli e alcuni componenti della famiglia dei cannabinoidi quali il Tetraidrocannabinolo (THC) e il Cannabidiolo (CBD) che, pur non avendo capacità psicoattive, agiscono sui cannabinoidi endogeni che oltre a modulare la risposta immunitaria, attivano recettori e trigger neuronali che migliorano la trasmissione dell’impulso nervoso innalzando la soglia del dolore neuromuscolare. Quanto sopra può essere molto utile nella SM, tant’è che nel Veneto (Vedi 2° articolo), dopo Toscana e Liguria è stata recentemente autorizzata la distribuzione gratuita in farmacia e ospedali di preparati galenici a base di cannabinoidi in particolare proprio per i soggetti affetti da SM. Altro articolo (3°) nella sezione è la Cura della SM con le foglie d’olivo, attraverso uno studio spagnolo pubblicato sul British Journal of Pharmacology, nel quale l’acido oleanolico sembra attenuare i segni clinici della SM (controllo muscolare, peso, sopravvivenza) come i processi immuno-infiammatori in animali da esperimento. Un altro articolo di questa sezione (4°) dal titolo Acidi grassi e Omega 3 ribadisce l’importanza di alcuni polisanturi (PUFA) omega 3 che non possiamo sintetizzare, la via preferenziale di assunzione che è quella vegetale (legumi, semi e frutta secca) e la necessità di assumerli crudi per la facile denaturabilità con il calore. Il rapporto SM e Omega 3 è riportato da un altro articolo di qualche anno fa riguardante uno studio su 16 pazienti con diagnosi recente di SM, ai quali fu somministrata un’integrazione vitaminica giornaliera + omega 3 di 900 mg a base di EPA 400 mg (acido eicosapentaenoico) e DHA 500 mg (acido docosaesaenoico) che mostrarono nei successivi due anni una riduzione significativa delle riacutizzazioni annuali e un aumento del 25% di valutazione del grado di disabilità. E’ un capitolo molto vasto oggetto di grandi interessi economici, personalmente se c’è un razionale terapeutico con il miglior rapporto costi-benefici, in associazione con altri prodotti e secondo gli steps della Micomedicina, si può ritrovare nell’Olio di Canapa. Un ultimo articolo (6°) dal titolo Omega 3 permette di puntualizzare alcuni aspetti spesso nascosti dalle aziende: gli EPA e DHA possono essere sintetizzati dal nostro organismo essendo il corpo umano capace di produrre tutti gli acidi grassi necessari eccetto due l’acido linolenico (LA) un omega 6 e l’acido alfa linolenico (ALA) un omega 3 che devono provenire interamente dalla dieta; ma gli ALA e LA sono in competizione tra di loro in quanto metabolizzati dallo stesso enzima (delta 6 desaturasi) ed essendo tutti e due essenziali, pur assunti con un rapporto ideale 3.1 fra omega 6 e 3, è difficile che tale rapporto si concretizzi senza una alimentazione attenta e una dieta adeguata. Alla fine quello che conta è la qualità degli alimenti oltre a quella del prodotto. (SEZ C) Criptopirroluria e SM apre la sezione dedicata ad un un’ampia rassegna sulla SM. La Criptopirroluria è una condizione determinata geneticamente in cui vi è un’alterata degradazione dell’emoglobina e della mioglobina che provoca una presenza di pirroli e di porfirine nell’urina. Il Piridossal fosfato è la Vitamina B6 e interviene come coenzima nel metabolismo in particolare degli AA attraverso l’utilizzo di uno ione metallico per stabilizzare la base di schiff. La Vitamina B6 interviene inoltre nel metabolismo cellulare di carboidrati, proteine e grassi oltre alla sintesi di neurotrasmettitori (GABA dall’acido glutammico, NAD e serotonina dal triptofano, tiroxina dalla dopamina). La maggior fonte alimentare della B6 è il lievito secco ed i sintomi di carenza si manifestano con dermatiti, lesioni alle mucose, astenia e anemia. Nella Criptop. con i pirroli vengono persi nell’urina , perché legati con loro, anche la Vitamina B6 e lo Zinco, oltre ed in misura minore altre vitamine come la B3 e la C, manganese , magnesio e acidi grassi polinsaturi. Un deficit di B6 può essere una con-causa di SM come indicato nel proseguio degli articoli (2) sulla SM. Significativo delle prospettive più avanzate di ricerca, è l’articolo inserito in questa sezione c) sulla Nanoparticella che impedisce l’attacco alla mielina nella SM: questa particella è composta da acido lattico e acido glicolico ed è stata in grado, su modello animale, di trasportare un antigene che aiuta il sistema immunitario a riconoscere come propria la mielina e quindi a non attaccarla. (Sez E) Correlazione tra CCSVI e Sclerosi Multipla la ricerca del Prof Zamboni ha individuato in una sindrome vascolare interessante il distretto venoso cerebrale (CCVSVI Chronic cerebrospinal venous insufficiency) una forte correlazione con la SM, e per la quale è in sperimentazione in tutta Italia un tipo di intervento chirurgico di disostruzione venosa intracerebrale analogo a quanto si fa normalmente alle gambe per le vene varicose. In realtà, quanto rilevato mediante tramite venografia con catetere successiva al doppler venoso, ha evidenziato un’inversione del flusso venoso che tende ad andare verso l’alto e non a scendere, insieme a depositi di ferro attorno alle vene dove maggiore è il fenomeno e con conseguente restringimento delle stesse. Secondo il Prof. Zamboni è un unico fenomeno correlato alla SM, non dandone però alcuna spiegazione fisiopatologica, i risultati degli interventi effettuati ancora non sono disponibili. Sono interessanti le osservazioni di Zamboni (sulla terapia si vedrà in futuro); c’è tuttavia una persona, Rudolf Steiner, che circa un secolo fa parlando dei processi dell’argento come affini a quelli anabolici, diceva che questi agiscono nei liquidi interni dominati dalla Luna e come la Luna domina le maree seguono le leggi del corpo eterico (forma) che influenzano la tendenza centrifuga del sangue, la spinta ascensionale di tutti i liquidi organici e degli organi. Un organismo che cresce (anabolico) cresce anche a livello cerebrale e negli adulti a causa di un intenso utilizzo dello stesso per lavori intellettuali, ha bisogno di maggiori liquidi che apportano sostanza e che danno anche la forma a livello embrionario (rotondeggiante come il liquido che lo nutre). Ma siccome il cervello è racchiuso nella scatola cranica non può ipertrofizzarsi nell’adulto come farebbe un muscolo che lavora come quello dell’atleta, e d’altra parte non è formato da fibre muscolari, quindi può solo aumentare le sinapsi invisibili e creare nuovi circuiti, ma quello che ha visto il prof. Zamboni è solo l’effetto di questo intenso lavoro cerebrale che ha causato un iperafflusso di sangue: cioè le vene varicose nel cervello. E’ l’ipotesi di Steiner sulla spinta ascensionale dei liquidi dominati dalle fasi Lunari che dà un senso alle osservazioni di Zamboni, e se i depositi di ferro fossero di argento ne sarebbe una ulteriore conferma. D’altra parte che le SM colpisca molto più donne e in età fertile, più sensibili alle fasi lunari era cosa risaputa, e che l’argento è il metallo più diffuso sulla terra grazie all’acqua dove è presente per quasi 2 milioni di tonnellate e che si tratta spesso di giovani donne intellettualmente molto attive ma poco sportive e poco fertili e….il resto lo saprete leggendo l’articolo sull’approccio della Micomedicina alla SM. Buona Lettura e mi raccomando commentate!! Dott Maurizio BAGNATO www.micomedicina.com SM e vitamina D California - Bassi livelli ematici di vitamina D sarebbero associati ad un aumento del numero di lesioni cerebrali e un aggravamento della sclerosi multipla (SM). E’ uno studio statunitense pubblicato su Annals of neurology a suggerire un potenziale legame tra l’assunzione di vitamina D e l’aggravarsi della malattia. La ricerca mostra una forte correlazione tra i livelli di vitamina D nel corpo, misurata attraverso prelievi di sangue, e le caratteristiche lesioni cerebrali dovute alla SM, misurate con la risonanza magnetica. Per ora non ci sono prove che l’assunzione di integratori a base di vitamina D possano evitare questi sintomi, ma è chiaro che una correlazione esiste. Nei pazienti con SM il sistema immunitario attacca il rivestimento delle fibre nervose (la mielina) e il midollo spinale. Quando la mielina viene attaccata l’infiammazione interferisce con la trasmissione dei messaggi neuronali, attività che si presenta a livello di risonanza magnetica come una lesione a placche, più o meno estesa. Per questo studio il Dott. Mowry ei suoi colleghi hanno utilizzato i dati di circa 500 pazienti con SM, scoprendo che per ogni aumento di 10 nanogrammi per millilitro di vitamina D nel sangue il rischio di nuove lesioni scende del 15 per cento. Livelli elevati di vitamina D sono dunque stati associati con un livello di disabilità associato alla malattia decisamente inferiore. Alcuni studi precedenti avevano già suggerito che bassi livelli di vitamina D fossero associati ad un aumentato rischio di recidiva in alcuni pazienti SM, dunque si tratterebbe di un’ulteriore conferma del ruolo della vitamina nella malattia. L’assunzione della vitamina D potrebbe dunque migliorare la vita dei pazienti con SM, ma prima che l’assunzione della vitamina diventi una prassi terapeutica dovranno essere svolti approfonditi studi clinici. "La gente pensa che la vitamina D sia sempre disponibile, e che sia sicura" spiega Mowry. "Ma la vitamina D è un ormone, e qualsiasi farmaco ha bisogno di essere testato prima di essere prescritto. Questa è la ragione principale per cui stiamo eseguendo uno studio randomizzato di supplementazione di vitamina D". La ricerca è stata finanziata da sovvenzioni dal National Institutes of Health National Institute of Neurological Disorder
From : www.micomedicina.com

Un fungo digerisce le resine fenoliche

Le resine fenoliche sono comunemente usate sia come adesivi industriali sia per la fabbricazione di oggetti, e in special modo parti della carrozzeria delle automobili. Queste resine sono ottenute da fenolo e formaldeide trattati in condizioni di temperature e pressione elevate in presenza di catalizzatori, e le loro catene molecolari vanno a formare strutture notevolmente intrecciate e difficili da rompere. A differenza di altre plastiche non possono essere rifuse e il loro smaltimento rappresenta un problema. Alcuni ricercatori del Dipartimento di biologia dell’Università del Wisconsin - La Crosse hanno scoperto che il fungo Phanerochaete chrysosporium è in grado di digerire queste resine, finora considerate refrattarie a qualsiasi forma di biodegradazione. Il fungo – chè è già noto per essere in grado di decomporre inquinanti come il DDT, il PCB, il TNT e le diossine, per compiere il suo compito di spazzino della plastica sfrutta un enzima, la ligninasi, che normalmente utilizza per degradare la lignina. Esso si è però dimostrato attivo anche contro le resine fenoliche, in quanto la loro struttura molecolare ha punti di contatto con quella della lignina. I ricercatori – che hanno pubblicato la loro scoperta sulla rivista on line della American Chemical Society – avvertono però che per l’impiego del fungo a questo tipo di rifiuti è necessario superare ancora vari problemi, fra i quali l’isolamento di queste plastiche dagli altri materiali. Il fungo riciclatore, per esempio, soccombe in presenza di elevati quantitativi di metalli pesanti.
From : www.micomedicina.com

lunedì 7 gennaio 2013

Termiti coltivatrici di funghi

L'agricoltura non è una caratteristica unica degli esseri umani: anche alcuni gruppi di insetti hanno sviluppato questo modo di vivere, per esempio le termiti che coltivano funghi all'interno dei loro nidi. Queste termiti si trovano sia nelle foreste pluviali sia nelle savane tropicali in Africa e in Asia. Ma in uno studio pubblicato sulla rivista "Current Biology", una combinazione di analisi del DNA e di modelli al computer suggerisce che l'agricoltura delle termiti ha avuto origine nelle foreste pluviali africane e si è poi sviluppata in molte altre specie che vivono oggi in varie parti del Vecchio Mondo.La relazione fra le termiti e i funghi coltivati costituisce un impressionante esempio di simbiosi: le termiti usano materiale vegetale masticato, come legno ed erba secca, per nutrire i funghi e consentire loro di crescere, mentre il fungo converte a propria volta piante indigeribili in nutrienti che le termiti possono utilizzare. Studi precedenti avevano mostrato che, in passato, si era verificata una singola transizione verso l'agricoltura quando le termiti avevano domesticato un solo tipo di fungo, rappresentato oggi dal genere Termitomyces.I ricercatori Duur Aanen dell'Università di Copenhagen e Paul Eggleton del Museo di Storia Naturale di Londra hanno studiato 58 colonie di termiti coltivatrici (in rappresentanza di 49 specie) in Senegal, Camerun, Gabon, Kenya, Sud Africa, Madagascar, India, Sri Lanka, Thailandia e Malesia, scoprendo che l'agricoltura delle termiti ha avuto origine nelle foreste pluviali africane. La ricostruzione del loro habitat ancestrale deriva dall'habitat delle specie oggi viventi e dall'analisi della ricostruzione, basata sul DNA, delle relazioni fra le specie.D. K. Aanen, P. Eggleton, "Fungus-Growing Termites Originated in African Rain Forest".Current Biology, Volume 15, No. 9, pp. 851-855 (10 maggio 2005).
From : www.micomedicina.com

venerdì 4 gennaio 2013

Donne Anziane,vit.D e fratture

Migliorare lo status della vitamina D potrebbe essere un importante fattore di rischio modificabile per ridurre cadute e fratture; tuttavia, l’aderenza alla supplementazione giornaliera è generalmente scarsa.Un gruppo di ricercatori australiani ha condotto uno studio per determinare se una singola dose annuale di 500.000 UI di Colecalciferolo somministrato per via orale a donne anziane in autunno o in inverno fosse in grado di migliorare l’aderenza e di ridurre il rischio di cadute e di fratture.Nel periodo 2003-2005, sono state arruolate 2.256 donne di età uguale o superiore a 70 anni considerate ad alto rischio di frattura.Le partecipanti sono state assegnate in maniera casuale a ricevere Colecalciferolo 500.000 UI oppure placebo ogni anno nella stagione autunno-invernale per un periodo da 3 a 5 anni.Lo studio si è concluso nel 2008.Cadute e fratture sono state accertate mensilmente; i dettagli sono stati confermati con interviste telefoniche e le fratture sono state confermate radiologicamente.In un sottostudio, 137 partecipanti selezionate in maniera casuale sono state sottoposte a prelievi di sangue seriali per misurare i livelli di 25-idrossicolecalciferolo e ormone paratiroideo.Tra le donne del gruppo Colecalciferolo ( Vitamina-D ) sono state osservate 171 fratture vs 135 nel gruppo placebo; 837 donne nel gruppo Vitamina D sono cadute 2892 volte ( tasso: 83.4 per 100 persone-anno ) mentre 769 nel gruppo placebo sono cadute 2512 volte ( tasso: 72.7 per 100 persone-anno; rate ratio [ RR ] incidente, 1.15; P=0.03 ).Il rate ratio ( rapporto tra i tassi ) incidente per frattura nel gruppo Vitamina-D è risultato pari a 1.26 ( P=0.047 ) versus gruppo placebo ( tassi per 100 persone-anno: 4.9 Vitamina D versus 3.9 placebo ).In un’analisi post hoc delle cadute è stato messo in luce un pattern temporaleIl rate ratio incidente di cadute nel gruppo Vitamina-D versus gruppo placebo è stato pari a 1.31 nei primi 3 mesi dopo l dosaggio e 1.13 nei successivi 9 mesi ( test per omogeneità; P=0.02 ).Nel sottostudio, il livello basale mediano di 25-idrossicolecalciferolo sierico era di 49 nmol/L.Meno del 3% dei partecipanti al sottostudio presentava livelli di 25-idrossicolecalciferolo inferiori a 25 nmol/L.Nel gruppo Vitamina-D, a 1 mese, i livelli di 25-idrossicolecalciferolo sono aumentati a circa 120 nmol/L; a 3 mesi erano circa 90 nmol/L; a 12 mesi sono rimasti più alti di quelli osservati nel gruppo placebo.In conclusione, nelle donne anziane, la somministrazione annuale orale di alta dose di Colecalciferolo è risultata associata a un aumento del rischio di cadute e fratture. Sanders KM et al, JAMA 2010; 303: 1815-1822
From: www.micomedicina.com

giovedì 3 gennaio 2013

Pre-eclampsia e Funghi

Scritto da : La Stampa 

La pre-eclampsia, secondo la definizione dell'Istituto Mario Negri "è una malattia che può complicare la gravidanza e può essere così grave da mettere a repentaglio la vita della madre e del nascituro. Si tratta di una malattia caratterizzata da pressione arteriosa elevata, gonfiori e proteine nelle urine. Nelle forme più gravi si manifestano crisi convulsive che possono preludere a una fase di coma".Ora, tra le varie cause, pare esserci anche il tipo di dieta e, nella fattispecie, l'assunzione di funghi e latticini non pastorizzati che possono essere veicolo di un composto chimico detto Ergotioneina, un antiossidante normalmente ritenuto utile per il cuore.Che questo antiossidante possa essere pericoloso per le donne in gravidanza lo suggerisce uno studio condotto da scienziati dell'Università di Leeds (Uk). Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno prelevato il sangue da 37 donne incinte e poi confrontato i globuli rossi di quelle sane con quelli delle donne affette da pre-eclampsia. Dalle analisi effettuate è emerso che le donne affette dalla malattia avevano maggiori concentrazioni di Ergotioneina nel sangue. Il composto chimico non può essere prodotto dall'organismo umano per cui, fanno notare i ricercatori, può essere introdotto solamente attraverso il cibo come, per esempio, i già citati funghi e i latticini non pastorizzati.Nonostante altri studi abbiano confermato il ruolo positivo dell'Ergotioneina come antiossidante, gli scienziati guidati dalla dr.ssa Julie Fisher, mettono sull'avviso (ma non vietano) le donne in gravidanza dall'assumere cibi contenenti questa sostanza, poiché si ritiene che un elevato livello di Ergotioneina sia un indicatore di pre-eclampsia. Il fatto curioso, sottolineano i ricercatori, è che sia proprio un antiossidante a essere stato trovato in alte concentrazioni nelle pazienti affette da pre-eclampsia, sebbene gli antiossidanti siano indicati come utili nel ridurre il rischio di questa patologia.Lo studio complete è stato pubblicato sulla rivista "Reproductive Sciences".
www.micomedicina.com

mercoledì 2 gennaio 2013

Amanita Phalloides possibile cura del cancro ?

L’Amanita Falloide (Amanita phalloides o Tignosa verdognola) è un fungo mortale della famiglia delle Amanitaceae. E’ forse uno dei funghi più pericolosi esistenti in natura perché, oltre a contenere un veleno molto potente, per la forma, il colore e l’elevato polimorfismo è facile confonderlo con altre specie di funghi commestibili. Ma ora sembra che la sua cattiva fama stia per essere cancellata da una notizia che riguarda la ricerca sul cancro.
Amanita Phalloides
I ricercatori del DFKZ, Centro tedesco di Ricerca sul Cancro(Deutsches Krebsforschungszentrum), insieme al NCT, il Centro Nazionale per le malattie tumorali Heidelberg e al Max Planck Institute for Medical Research, infatti, hanno scoperto che il veleno contenuto nell’Amanita Falloide è in grado di distruggere e arrestare la crescita delle cellule tumorali di diversi tipi di cancro come quello al colon, alla prostata, alseno e ai condotti biliari. La tossina contenuta nell’Amanita Falloide, conosciuta come Amanitina, riesce ad uccidere le cellule cancerogene senza danneggiare in nessun modo l’organismo del paziente. L’immunologo Gerhard Moldenhauer che insieme al professor Heinz Faulstich ha condotto lo studio sugli effetti dell’amantinia ha verificato, sia nei test in vitro che sulla sperimentazione animale, come l’anticorpo specifico utilizzato attacchi una proteina presente sulla superficie delle cellule tumorali chiamata EpCam (Epithelial cell adhesion molecule). In questo modo i ricercatori sono riusciti a spedire a domicilio il veleno andando ad attaccare le cellule cancerogene senza intaccare quelle sane. I ricercatori hanno altresì scoperto come si formi un legame chimico stabile tra il veleno e le cellule cancerose che rende la sostanza totalmente sicura.
E c’è di più. Durante la sperimentazione ci si è accorti come sia sufficiente una sola iniezione in loco per fermare il tumoree ulteriori due con dosi più elevate di tossina per ottenere la completa regressione del cancro nel 90% dei casi. Il risultato più importante è sicuramente il fatto che la tossina non abbia provocato nessun effetto collaterale negli animali sulla quale è stata testata. Ulteriori studi ci permetteranno di capire se non esistono effetti collaterali a lungo termine. Solo dopo i dovuti controlli si potrà sperare di avere inalmente trovato una cura per il cancro.