venerdì 22 novembre 2013

Una nuova via per affrontare l’ipertensione

Una nuova via per affrontare l’ipertensione
Materiale editoriale - Descrizione e modalità di aggiornamento

Sempre più spesso in medicina i progressi per individuare possibili cure di patologie estremamente diffuse nascono dalla ricerca sulle malattie rare. A questa regola non sfugge lo studio condotto dal gruppo di Luca Rampoldi dell'Istituto Telethon Dulbecco del San Raffaele di Milano, pubblicato su Nature Medicine, che partendo proprio da una rara malattia renale fa ipotizzare una possibile cura futura per l'ipertensione. La ricerca ha infatti fatto luce su un meccanismo che collega l'uromodulina, proteina presente nelle urine, a un rischio maggiore di sviluppare ipertensione arteriosa e danno renale. Il punto di partenza di questo lavoro è stata la scoperta che alcune varianti comuni del gene dell'uromodulina, in particolare della regione che ne regola l'espressione e quindi la produzione, sono associate ad un rischio maggiore di sviluppare ipertensione e danno renale nel corso della vita. In questo studio sono state individuate le basi biologiche di tale associazione. Analizzando decine di biopsie renali e centinaia di campioni di urine di persone con pressione arteriosa e funzionalità renale normali, gli studiosi hanno visto che i livelli di uromodulina variavano in base a precise sequenze nel DNA. In particolare, le persone che avevano delle varianti in grado di metterle "a rischio" di pressione alta o danno renale producevano molta uromodulina, al contrario dei portatori delle varianti protettive. In che modo quindi un alto livello di espressione del gene aumenta il rischio di ipertensione? Studiando i topi i ricercatori hanno visto è emerso che un aumento della produzione di uromodulina determina la comparsa di ipertensione già in giovane età, ma soprattutto hanno individuato una possibile soluzione, probabilmente perché la proteina favorirebbe il riassorbimento di sale e acqua a livello renale.
Ipertensione

lunedì 18 novembre 2013

Adipe e neoplasia mammaria, rapporto sempre più stretto

Adipe e neoplasia mammaria, rapporto sempre più stretto 
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L'obesità, in particolare se a livello addominale, rappresenta un formidabile motore di sviluppo per le cellule neoplastiche. L'incremento del tessuto adiposo infatti favorisce un incremento nella crescita delle cellule tumorali e anche delle dimensioni della massa neoplastica, almeno per quanto riguarda il tumore mammario. Ad aggiungere un ulteriore tassello alle conoscenze in questo ambito - da tempo si sa che l'obesità è un fattore di rischio per lo sviluppo di neoplasie in postmenopausa - è una ricerca apparsa su Breast Clinical Research condotta dagli scienziati dell'Università Tulane di Neuw Orleans.. Lo studio ha preso in esame l'attività di specifiche linee di cellule staminali adipose, valutando il loro effetto sulla crescita delle unità tumorali.
Adipe e Neoplasia mammaria

martedì 12 novembre 2013

Come comportarsi di Fronte all'ipotiroidismo

Come comportarsi di fronte all’ipotirodismo?
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Riconoscere eventuali problematiche della tiroide è fondamentale per monitorare al meglio il benessere dei pazienti. In questo senso, fondamentale appare soprattutto ipotizzare un quadro, in particolare di ipotiroidismo spesso subclinico, anche in assenza di sintomatologia chiara. Secondo Marcello Bagnasco, docente di Medicina Interna all'Università di Genova "nelle persone avanti con gli anni un calo della funzione della tiroide potrebbe anche far pensare alla depressione o comunque ad un'involuzione e può anche peggiorare un eventuale stato di deterioramento psichico. Importante è anche definire con precisione il quadro in previsione di una gravidanza, perché un compenso ottimale dell'ipotiroidismo materno è necessario per uno sviluppo ottimale del feto". La gravidanza e il successivo puerperio sono comunque fasi della vita femminile che vanno monitorate con grande attenzione. La donna, infatti, può andare incontro a fenomeni autoimmuni con la formazione di anticorpi diretti contro le cellule della ghiandola e conseguente distruzione di tessuto tiroideo da parte del sistema immunitario. Il fenomeno porta a liberazione di ormone e quindi ad un lieve quadro di tireotossicosi cui fa seguito un quadro di ipotiroidismo che spesso è solo transitorio e rimane solo in una parte dei casi. Questa situazione compare verosimilmente per le modificazioni del sistema immunitario nel periodo che segue il parto ed appare legato al superamento della relativa depressione del sistema immunitario che si instaura in gravidanza, per far sì che il corpo materno possa "tollerare" il feto. Il rischio che si sviluppi un quadro di questo tipo, peraltro, non è bassissimo e va sempre tenuto presente. Secondo dati recentemente raccolti in Liguria più del quindici per cento delle donne che terminano la gravidanza può presentare la situazione, specie se la donna già prima della dolce attesa ha una positività per autoanticorpi specifici contro la tiroide nel sangue
Ipotiroidismo

giovedì 7 novembre 2013

Diabete e osteoporosi, il rapporto è complesso

Diabete e osteoporosi, il rapporto è complesso

E' davvero difficile da estrinsecare il rapporto che esiste tra diabete ed osteoporosi. Intuitivamente si potrebbe pensare che il calo ponderale consigliato nelle persone con diabete possa in qualche modo essere positivo per la debolezza ossea, ma non sempre è così, anche per particolari componenti metaboliche che non si possono sottovalutare. Mentre nel diabete di tipo 1 ad essere alterata è soprattutto la capacità di formare nuovo tessuto osseo - fatto che comporta un bilancio "negativo" a livello dello scheletro - nel tipo 2, paradossalmente la massa ossea risulta addirittura aumentata, ma ad essere compromessa è la qualità dell'osso. Quindi, in qualche modo, esiste una profonda differenza all'origine della comorbilità, che va sempre tenuta presente. Sotto l'aspetto biochimico infatti le fibre collagene presenti nella matrice dell'osso nella persona con diabete di tipo 2 subiscono una glicosilazione. In pratica quindi l'eccesso di glucosio registrabile con l'incremento della glicemia diventa una sorta di collante sulle proteine, che ne altera la qualità. A questo processo non sfugge certo il collagene. Il risultato di questa situazione è che l'osso può risultare addirittura maggiormente fragile ed esposto a fratture, a fronte di una densità ossea che può apparire aumentata. Se a questo si aggiunge che l'osteoporosi, così come il diabete di tipo II, tende ad aumentare con l'età e che con il passare degli anni cresce anche il rischio di cadute, il rapporto tra le due patologie appare ancora più stretto.
Diabete ed osteoporosi