lunedì 24 febbraio 2014

Metastasi da tumore del colon: una strategia per arrestarle?

Metastasi da tumore del colon: una strategia per arrestarle?

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Nel 20 per cento circa dei casi di metastasi epatiche da tumore del colon-retto il trattamento farmacologico con inibitori dell'Efgr consente di bloccare lo sviluppo delle cellule neoplastiche. Purtroppo però questa azione si realizza solo per un certo periodo di tempo, poi le cellule sviluppano resistenza e quindi diventano in pratica insensibili alla terapia, riprendendo a svilupparsi. Ora uno studio italiano dimostra che grazie all'associazione di questi farmaci con i Mek-inibitori si riesce ad ottenere un completo stop della riproduzione delle unità metastatiche, ottenendo, almeno in vitro su cellule prelevate da biopsie epatiche, il completo blocco della replicazione delle cellule maligne. Ad aprire la porta alla speranza è una ricerca tutta italiana, condotta all'Università di Torino, all'Irccs di Candiolo e all'Ospedale Niguarda di Milano e coordinata da Sandra Misale e Alberto Bardelli, apparsa su Science Translational Medicine. In pratica l'approccio combinato prevede di attaccare le metastasi sia agendo a a monte del percorso di sviluppo cellulare, sia, appunto con i Mek-inibitori, a valle del processo. Per ora siamo solo in provetta e ora si tratta di provare anche nei malati questa realtà, che apre la strada a nuove speranze di arrestare l'avanzata di uno dei più temuti big-killer. "Per questo sta per partire un primo studio clinico su circa 80 pazienti con metastasi resistenti alla terapia, in cui verrà valutato l'effetto di questa "doppietta" - precisa Bardelli. La ricerca si svolgerà da noi a Candiolo e al Niguarda di Milano e la speranza è che quanto osservato in laboratorio si ripeta anche al letto del malato".
Metastasi da tumore del colon

giovedì 20 febbraio 2014

CFS, un problema da tenere presente

CFS, un problema da tenere presente 

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Una serie di racconti di pazienti riaccende la luce sulla sindrome da stanchezza cronica, meglio nota come CFS (Chronic Fatigue Syndrome). Il quadro può colpire persone di ogni età ed è fondamentale giungere presto ad una diagnosi, come ricorda Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell'Istituto dei Tumori di Aviano, tra i maggiori esperti italiani sul quadro patologico. Non bisogna infatti dimenticare, a detta dell'esperto, che una fortissima astenia rappresenta uno dei sintomi più frequentemente riportati al medico di medicina generale al momento della visita e come questo quadro possa essere legato ad un insieme di cause organiche ben definite, come ad esempio la presenza di un tumore, un quadro di ipotiroidismo non riconosciuto o più semplicemente una condizione depressiva. Una volta giunti a riconoscere la patologia, in ogni caso, occorre mettere in atto un trattamento mirato, che consenta innanzitutto di contrastare il dolore che è un segno presente nel quadro clinico. Si tratta quindi di attivare una serie di proposte terapeutiche, pur se in assenza di una ben definita terapia causale, che consentano di migliorare la situazione e diano speranza di arrivare ad una soluzione definitiva della patologia. In genere il cocktail di cure si basa su mutamenti dello stile di vita e su un insieme di interventi farmacologici che prevede l'impiego di diverse componenti, come antivirali, cortisonici, regolatori del sistema immunitario e anche semplici integratori.
CFS, un problema da tenere presente

martedì 18 febbraio 2014

Test genomici per scegliere la chemioterapia, tra realtà e ipotesi

Test genomici per scegliere la chemioterapia, tra realtà e ipotesi 

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 L'obiettivo è sicuramente affascinante: visto che i tumori mammari sono di tanti tipi, e diversi tra loro, meglio studiarli non solo sotto l'aspetto dei recettori ma anche in base al profilo genetico delle cellule che li determinano. Poi, sulla scorta di questa informazione, si può pensare se e quale tipo di trattamento può essere più efficace per ogni singolo caso. Questo approccio, che si impiega soprattutto nel caso di specifiche forme tumorali, può rivelarsi utile per immaginare il percorso clinico della patologia e definire le strategie di chemioterapia. Un esempio di questi test viene dal cosiddetto Oncotype DX, valicato su oltre 4000 donne in diversi studi internazionali e già è stato impiegato in centinaia di migliaia di volte per definire l'utilità o meno della chemioterapia. Secondo Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento di oncologia medica all'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, "disporre di quest test che studia specificamente 21 geni e analizza le interazioni, la funzionalità e il profilo molecolare del tumore potendo così ipotizzare se la neoplasia si ripresenterà entro 10 anni dalla diagnosi e se la chemio è veramente necessaria è utilissimo". Secondo gli esperti, peraltro, l'impiego del test impatta notevolmente sull'approccio terapeutico: addirittura in quattro casi su dieci può portare a modificare la terapia, conducendo a evitare la chemioterapia nei due terzi delle pazienti e associandola all'ormone terapia in un terzo.
Test genomici

lunedì 17 febbraio 2014

Semi d’uva per limitare i danni della chemioterapia

Semi d’uva per limitare i danni della chemioterapia 

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A volte anche elementi del tutto naturali possono contribuire al benessere. L'ennesima prova di questa realtà viene da una curiosa ricerca condotta in Australia. Secondo quanto riporta lo studio, per limitare l'impatto della chemioterapia antitumorale in termini di effetti collaterali basterebbero anche i semplicissimi semi d''uva che peraltro avrebbero un altro effetto importante: con la loro presenza potrebbero aumentare l'efficacia delle cure in caso di tumore del colon.
Semi d'uva contro la chemio

sabato 15 febbraio 2014

Alcol e fumo uguali alla cannabis per gli adolescenti

Alcol e fumo uguali alla cannabis per gli adolescenti 

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La ricerca dell'Inserm, Istituto Francese per la Salute e la Ricerca medica, è sicuramente destinata a far discutere. Per la prima volta, infatti, alcolici, fumo di sigaretta e cannabis vengono posti sullo stesso identico piano per quanto riguarda gli effetti sui giovanissimi. A tal punto gli effetti sarebbero pressochè sovrapponibili che gli esperti sottolineano fondamentalmente un aspetto: occorre tenere lontani i teen-agers da questi fattori esterni, visto che i loro effetti possono essere particolarmente pericolosi a quell'età, ben più di quanto si osserva negli adulti. Il consumo precoce di alcol, tabacco e cannabis in particolare accresce di molto il rischio di dipendenza e di danni conseguenti. Per gli esperti francesi, poi, non bisogna sottovalutare quanto oggi la scienza dica sugli effetti di queste sostanze assunte con regolarità in età giovanile. Ad esempio si sa che gli alcolci possono avere effetti estremamente significativi sul cervello del giovane, anche per l'ancora incompleta formazione dei sistemi detossificanti dell'etanolo. Gli stessi effetti sul tessuto cerebrale possono esserci anche in caso di consumo di cannabis, specie se questo è iniziato prima dei 15 anni di età. Per il fumo, ovviamente, l'elenco dei potenziali danni all'organismo in formazione è già noto da tempo. In base ai risultati degli scienziati dell'Inserm, peraltro, sarebbe sempre importante cercare di identificare i giovani a maggior rischio per affrontare al meglio la situazione. In questo senso, ad esempio, si sa che i teen-agers che hanno genitori con condotte di dipendenza sono più esposti allo sviluppo di queste condizioni, così come le difficoltà scolastiche possono "spingere" più facilmente verso il richiamo delle sostanze in questione.
Alcool e fumo

venerdì 14 febbraio 2014

Nanotech per combattere il cancro

Nanotech per combattere il cancro 

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Preservare le parti sane del corpo concentrando l'azione del farmaco ad azione citotossica esclusivamente nelle aree in cui ci sono cellule neoplastiche. Sembra un sogno poter programmare approcci terapeutici di questo tipo, ma siamo già nel mondo della realtà grazie ai "nano-trasportatori" intelligenti, che si fanno carico di trasportare il farmaco anti-neoplastico esattamente dove serve, evitando che gli effetti della molecola si disperdano nell'organismo. Un esempio di questa innovativa strada di ricerca viene dagli studi dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e del CNR: la ricerca condotta dagli scienziati romani è stata pubblicata sulla rivista Nanoscale e conferma come ormai si sia già andati oltre i primi studi eseguiti solo su modelli sperimentali. I ricercatori romani sono infatti già arrivati ad applicare questo approccio, per ora non disponibile in clinica, sul melanoma, al fine di potenziare l'azione del chemioterapico cisplatino associato ai nanovettori. Questi vengono "costruiti" a partire da una proteina umana, la ferritina, che ha la capacità di essere biodegradabile e per nulla tossica per il corpo. In pratica la ferritina funzione da trasportatore di farmaco. Per far sì che possa essere in grado di rilasciare il chemioterapico esclusivamente nelle parti desiderate, la ferritina viene dapprima aggregata ad un anticorpo monoclonale specifico per le cellule del melanoma. Poi, quando ha a disposizione questo guida che lo porta esattamente all'obiettivo, il nanovettore viene caricato con il farmaco che viene quindi rilasciato esclusivamente là dove davvero serve. Il risultato che si spera di ottenere in futuro è duplice: da un lato rendere più efficace il trattamento, dall'altro limitarne la tossicità.
Combattere il cancro