domenica 28 luglio 2013

L’elettricità per combattere il dolore neuropatico

L’elettricità per combattere il dolore neuropatico 

Materiale editoriale - Descrizione e modalità di aggiornamento

Stimolare elettricamente la corteccia cerebrale nella sua parte motoria può aiutare a contrastare la cosiddetta "sindrome da arto fantasma", una delle forme di dolore neuropatico più complesse da affrontare, che è collegata ad una percezione di dolore originante da un braccio o una gamba che sono state amputate. E' l'incoraggiante conclusione di una ricerca condotta all'Università Bicocca di Milano in collaborazione con l'Università di Harvard di Boston, pubblicata sulla rivista Pain. Lo studio ha dimostrato che le stimolazione elettriche a basse intensità e del tutto indolori possono indurre un calo o anche la completa eliminazione del dolore nei pazienti. Si tratta di un'opportunità di trattamento in più di queste forme algiche che purtroppo, anche per la loro complessità, vengono attualmente curate con estrema difficoltà. Queste forme di dolore possono anche non trovare soluzioni da alcun trattamento, anche perché fin dalla sua origine il dolore è "sbagliato", ovvero nasce da segnali neurologici non corretti. Il dolore neuropatico è completamente sganciato da un eventuale organo che lo può originare, come prova la presenza della sindrome da arto fantasma in cui addirittura il paziente riferisce il dolore a una parte amputata. E per questo il meccanismo che lo genera è collegato esclusivamente al sistema nervoso che in pratica, sbagliando, crea uno stimolo difficile da combattere tanto che anche la morfina può a volte non bastare per contrastare le algie e migliorare la qualità di vita dei malati.

venerdì 26 luglio 2013

Nuove speranze per la mielofibrosi

Nuove speranze per la mielofibrosi 

Materiale editoriale - Descrizione e modalità di aggiornamento

La mielofibrosi è una rara forma tumorale caratterizzata da insufficienza del midollo osseo, splenomegalia, sintomi debilitanti come dolore e calo dell'appetito, con conseguente perdita di peso. colpisce in Europa circa 0,75 persone ogni 100.000 l'anno ed è quindi una patologia rara. Tra le opzioni terapeutiche, in futuro potrebbe rendersi disponibile un farmaco, ruxolitinib, che contribuisce a ridurre il volume della milza e la mortalità. Al momento il medicinale non è ancora disponibile in Italia.
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venerdì 19 luglio 2013

Test del DNA, l’Italia segna il passo

Test del DNA, l’Italia segna il passo 

Materiale editoriale - Descrizione e modalità di aggiornamento

Angelina Jolie ha fatto scuola. Oggi, malgrado la non certissima attendibilità dei risultati, almeno 5 americani su 100 si sottopongono a test genetici preventivi per conoscere per tempo la predisposizione ad aventuali malatattie gravi, ma anche solo per sapere la capacità di metabolizzare la caffeina o il latte, o ancora la probabilità di diventare obesi. Sempre più persone mettono la propria saliva in una provetta e, dopo aver compilato un modulo via web, la mandano a laboratori esteri, che in due-tre settimane, forniscono a domicilio un'analisi genetica. I costi poi sono da discount: 99 dollari, rispetto ai 1000 di un centro specializzato. Ma al di là di questo supermercato per clienti ipocondriaci, quello che preoccupa i genetisti italiani è che il nostro Paese segna il passo, sia sul fronte tecnologico, macchine e software per analizzare il DNA, sia per la scarsità di personale formato a questo scopo. E non avere la tecnologia bio infornatica e le competenze per usarla significherà obbligare l'Italia a una sudditanza medica verso Paesi più evoluti. Nel 2020 finiranno gli studi di analisi sull'esoma, che contiene la parte codificante Dna dove si annidano la maggior parte delle malattie e arriveranno macchine a nanopori che leggeranno il Dna in sequenza senza bisogno di amplificazione, e quindi senza rischio di incorrere negli errori attuali. A quel punto davvero la medicina predittiva avrà piena cittadinanza.
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martedì 16 luglio 2013

Micoeditoriale Luglio 2013

Micoeditoriale Luglio 2013

Fibromialgia e Morchella esculenta nella Micomedicina 

Questo mese inizieremo un trittico bello e interessante che ci accompagnerà per tutta l’estate e dove si racchiude buona parte dell’aspetto teorico-concettuale della micomedicina: parleremo del trittico fibromialgia, CFS (sindrome della stanchezza cronica) e MCS (sensibilità chimica multipla), sempre con la nostra lente olistico-simbiotica filtrata attraverso i funghi. Iniziamo con la Fibromialgia, malattia che prende principalmente il sesso femminile, spesso confusa con malattie reumatologiche varie o con forme depressive, tanto che ancora oggi nosograficamente ci sono discussioni su come classificarla e spesso viene scambiata come una sindrome ansiosa con somatizzazioni. Ho parlato del trittico perché è nel contesto di queste tre patologie, in cui spesso si mescolano i sintomi, che ritengo possa svilupparsi a pieno il pensiero della micomedicina, partendo da una unica eziologia : il Micoplasma. Il fungo di riferimento di questo mese è la Morchella esculenta un buon fungo commestibile (primaverile) che cresce spontaneo e ultimamente anche coltivato, con notevoli proprietà medicinali: è un potentissimo antiossidante che unito alle sviluppate capacità chelanti (vedi in seguito sui metalli pesanti), a quelle antinfiammatorie (è paragonato al Diclofenac) e soprattutto alle capacità antibatteriche (esopolisaccaridi) che servono contro il Micoplasma, rappresenta il nutraceutico di riferimento per la Fibromialgia. Tornando al Micoplasma è molto importante un articolo di ricercatori brasiliani (inserito di seguito nel paginone centrale) sul concetto di proteino immuno dominanza (cioè la gestione del sistema immunitario dalle proteine e nucleotidi dell’ospite): essendo il più piccolo tra i batteri fornito di nucleo ma senza parete cellulare, si nasconde all’interno delle cellule agganciandosi con speciali fibrille e oltrepassando la parete grazie alle piccole dimensioni e se ne sta buono per anni inserendo il proprio dna come un’appendice di quello della cellula parassitata e dando scarsi segni della propria presenza, queste cellule (soprattutto miocellule, cellule nervose e cartilaginee/ossee) a seguito di un trauma fisico o emotivo, subiscono una sorta di cannibalizzazione dall’interno : l’acido nucleico e le proteine del Micoplasma organizzate sottraggono steroli dalla cellula soprattutto dalla parete cellulare, che per questo motivo può scoppiare liberando l’ospite oppure subire lesioni (i famosi trigger points della fibromialgia), e fino a qui nulla di eccezionale se non si trattasse di un batterio che può sopravvivere anche in una forma minerale e trasformarsi (pleomorfismo) in forme virali o batteriche passando indifferentemente dalle piante agli animali fino all’uomo e viceversa. E il Mico (plasma) non è casuale neppure nel nome, visto che convive dentro di noi grazie alla simbiosi. Che sia il Micoplasma la causa di tutto? Il concetto di proteino immuno dominanza diventa comprensibile quando il depredare la membrana cellulare porta la cellula stessa a subire mutazioni quali quantitative delle stesse proteine di membrana che possono determinare fenomeni autoimmunitari o manifestazioni allergiche o tumori. Ed il Micoplasma fermentans ha anche un’origine “militare” dalla guerra biologica degli anni 50, derivando da una mutazione genetica indotta all’epoca sulla Brucella abortus, e ritrovata ancora nei militari americani veterani della prima guerra del golfo. Proprio per questo motivo al 2) assieme ad un interessante articolo sul trattamento naturale della fibromialgia secondo il protocollo SHINE (Sleep sonno, Hormonal balance equilibrio ormonale, Immunity immunità, Nutrition nutrizione Emotions emozioni) ho voluto fare una piccola ma interessante review in italiano sui Micoplasmi. Accanto ai Micoplasmi, c’è l’aspetto fondamentale della 3) fitochelazione che rappresenta il meccanismo con cui i funghi ci salvano dai metalli pesanti, in cui la presenza della Candida albicans ne è l’epifenomeno. La fitochelazione è prodotta in particolare dalla chitina e dal chitosano presenti nei funghi come in alghe e nei crostacei, tramite i tioni ed i gruppi sulfidrilici, ed agisce come una sostanza adsorbente che blocca le sostanze, come i metalli, che hanno cariche ioniche polari con i loro effetti riducenti (ROS) consequenziali all’organismo che li contiene. Pertanto le migliori sostanze chelanti sono i macrofunghi che non solo hanno parecchia chitina (al contrario della Candida albicans) ma anche altre sostanze con una doppia azione (chelante-antiossidante) come gli enzimi SOD (citocromi) nonché sostanze antibiotiche che agiscono contro i micoplasmi. La Candida rappresenta, come i Micoplasmi, uno stato di immunodepressione dell’organismo per la presenza dei metalli pesanti e di altre sostanze xeno-biotiche, che poi può estrinsecarsi ulteriormente in patologie sistemiche e oncologiche. 4) Carenza di Vitamina D2 e fibromialgia è il quarto articolo in cui il potere dei funghi si estrinseca con una sostanza come la Vitamina D2 di cui ogni fungo, in quantità variabile, ne è comunque ricco. Altro articolo rappresentativo di tutti i contributi che la fitoterapia dà vs la fibromialgia è quello 1) sulla Griffonia simplicifolia che fornisce una sostanza antidepressiva analoga alla serotonina la 5 idrossitriptamina, che agisce per il grande capitolo della patologia psichica strettamente correlata all’eccessivo consumo di aminoacidi argigina e triptofano dovuto alla presenza del micoplasma. Altre piante che agiscono con un meccanismo sostitutivo a sostanze carenti nella fibromialgia sono la Maca (Lepidium meyenii) per quanto riguarda l’assetto ormonale DHEA etc e l’Uncaria tomentosa (unghia di gatto) come immunostimolante. Ultimo articolo è quello sull’osteopatia nel trattamento della fibromialgia ed ospita un gradito contributo del nostro osteopata Alessandro Di Branco insieme ad un piccolo riassunto sulle potenzialità dell’osteopatia in questa controversa patologia. 

Buona lettura Dott Maurizio Bagnato MD

mercoledì 10 luglio 2013

Lo smog avvelena i polmoni

Lo smog avvelena i polmoni 

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È stato pubblicato su Lancet Oncology uno studio europeo svolto su oltre 300.000 persone residenti in 9 paesi europei che ha dimostrato che più alta è la concentrazione di inquinanti nell'aria maggiore è il rischio di sviluppare un tumore al polmone. Allo studio hanno collaborato 36 centri europei, oltre 50 ricercatori. Ha contribuito un gruppo di ricerca dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, guidato da Vittorio Krogh, responsabile della Struttura complessa di epidemiologia e prevenzione. Si tratta del primo lavoro sulla relazione tra inquinamento atmosferico e tumori al polmone che interessa un numero così elevato di persone, con un'area geografica di tale estensione e un rigoroso metodo per la misurazione dell'inquinamento. Il trial fa parte del progetto europeo ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), che si propone l'obiettivo di studiare gli effetti a lungo termine dell'inquinamento atmosferico in Europa sulla salute dei cittadini. Il lavoro ha riguardato 17 coorti per un totale di 312.944 persone di età compresa tra i 43 e i 73 anni, reclutate negli anni '90 e osservate per un periodo di circa 13 anni successivi al reclutamento, registrando per ciascuno gli spostamenti dal luogo di residenza iniziale. Del campione monitorato hanno sviluppato un cancro al polmone 2.095 individui. Lo studio ha permesso di concludere che per ogni incremento di 10 microgrammi di PM 10 per metro cubo presenti nell'aria aumenta il rischio di tumore al polmone di circa il 22 per cento. La percentuale sale al 51 per cento per una particolare tipologia di tumore, l'adenocarcinoma. Questo è l'unico tumore che si sviluppa in un significativo numero di non fumatori lasciando quindi più spazio a cause non legate al fumo da sigaretta di espletare il loro effetto cancerogeno. 
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martedì 9 luglio 2013

Così il sangue cura le malattie

Così il sangue cura le malattie 

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I classici esami ematochimici rivelano giorno dopo giorno la loro sempre maggior importanza nella diagnosi di patologie. Basti pensare ai test che offrono informazioni sull'infarto fin dalle fasi iniziali dell'attacco cardiaco, i controlli per l'embolia polmonare e i marcatori di eventuale progressione di patologie neoplastiche. Ma gli sviluppi più impressionanti degli ultimi anni sono nel campo terapeutico: come ricorda Vincenzo Toschi, direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale all'Ospedale san Carlo Borromeo di Milano. Per comprendere quanto questo approccio terapeutico sia sempre più importante si può pensare alla trasfusione di staminali e al loro impiego nel ripopolamento del midollo osseo distrutto in seguito a chemioterapia che portano all'aplasia. Ma non è l'unico esempio dell'utilità del sangue nel trattamento delle patologie. Ad esempio in caso di emorragia acuta se l'organismo non è in grado di sostenere il ridotto apporto di ossigeno si può effettuare una sorta di "trasfusione mirata", basata sull'impiego di globuli rossi concentrati. Oppure, se ci sono difetti della coagulazione del sangue, una nuova via prevede l'impiego di plasma fresco congelato. "E' necessario questo trattamento per la cirrosi epatica e nei pazienti con terapie anticoagulanti o con elevato rischio trombotico - spiega Toschi. Il plasma viene anche impiegato anche per combattere la formazione di microtrombi nel circolo ematico, quali quelli che si osservano nei gravi traumatizzati, nei pazienti con setticemia, in quelli con neoplasie e metastasi".
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venerdì 5 luglio 2013

L’obesità? Una vera malattia!

L’obesità? Una vera malattia! 

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L'American Medical Association ha dato il suo responso. L'obesità è una malattia e quindi chi ne soffre può avere diritto ai rimborsi assicurativi per le terapie necessarie a fronteggiare questo quadro. Il passo avanti è significativo soprattutto sotto l'aspetto assicurativo, ma certo il ricorso al farmaco "dimagrante" è ancora tutto da definire. L'attività fisica e la dieta sono i due capisaldi della lotta all'obesità, e come tali debbono rimanere ben chiari ai pazienti. D'oltre Oceano e non.
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mercoledì 3 luglio 2013

Così l’altitudine aiuta la prevenzione cardiovascolare

Così l’altitudine aiuta la prevenzione cardiovascolare 

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Per studiare l'ipertensione si deve salire in alto. Sembra essere questo il motto del progetto Highcare coordinato da Gianfranco Parati, dell'Università di Milano-Bicocca e direttore della Cardiologia dell'Istituto Auxologico Italiano. Solo ad alta quota, secondo l'esperto, "si possono studiare correttamente i meccanismi di regolazione della pressione senza avere l'effetto confondente della malattia". Il nuovo progetto si è concentrato sull'analisi delle alterazioni nel controllo dell'apparato cardiovascolare ad alta quota: questa situazione porta ovviamente ad ipossia e come risposta l'organismo aumenta la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. Gli studiosi, in questa spedizione sulle montagne andine, hanno valutato così l'efficacia di un'associazione tra due antiipertensivi.
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